Bric Ercea, Finalese, petroglifi e manufatti litici

Bric Ercea

Bric Ercea

Il Bric Ercea è un rilievo posto a sud di Bric Pianarella, facilmente raggiungibile dalla località di Monticello e di San Bernardino, presso Finale Ligure.Viene descritto il sito con i reperti litici, i rapporti con vicine strutture di analogo significato, con riferimenti a possibili interessamenti archeologici ed archeoastronomici. Segue una discussione sulle ipotesi di datazione e di utilizzo dei ritrovamenti.

by A. Pirondini, G.P. Bocca, F. Pirondini,
C. Pirondini, C. Villa




Petroglifi e manufatti litici del Bric Ercea

(Finalese – Liguria Occidentale)

Autori: Alfredo Pirondini*, Gian Paolo Bocca*, Filippo Pirondini*,
Cecilia Pirondini* e Cesarina Villa*

*Il Finalese: Studi e Ricerche, http://ilfinalese.blogspot.it

Descrizione

Il Bric Ercea è un rilievo (304 mslm) posto a sud di Bric Pianarella, facilmente raggiungibile dalla località di Monticello e di San Bernardino, presso Finale Ligure (Provincia di Savona, Liguria Occidentale). Il versante occidentale è costituito da una parete scoscesa sulla Valle dell’Aquila, già utilizzata come parete di arrampicata. I restanti fianchi sono più acclivi e da est si può raggiungere la vetta del Bric, deviando verso ovest, sulla sinistra a 298 mslm: 44,19448° N; 8,33257° E, dal sentiero che, da San Bernardino, raggiunge il Ciappo (il termine “ciappo”, nel Finalese, indica una lastra di pietra) dei Ceci (in Ligure Ciappu de Cexi o Ciappu de Cunchette) ed il Ciappo delle Conche (Ciappu de Cunche).

La prima parte dell’oronimo trarrebbe origine dal celtico *bhrĝhā “monte, roccaforte” < indoeuropeo *bherĝh- “alto”. Secondo altri Autori (5) tale provenienza celtica non sarebbe dimostrata, ma il termine avrebbe una origine pre-indoeuropea (5), (25), (42). È possibile, comunque, constatarne la presenza in numerosi e importanti idiomi della famiglia indoeuropea: dal celtico, al germanico, al latino e al sanscrito (25).

Si tratta, dunque, di una delle radici più importanti e più diffuse in tale ambito linguistico-culturale e, quindi, anche celto-ligure, a significativa testimonianza del valore che queste popolazioni davano alle cime dei monti come sito naturale d’abitazione, di difesa e di devozione cultuale. Il gran numero dei toponimi rinvenibili, non solo nel Finalese, costituisce un dato non casuale (20), (24), (25), (27).

Per quanto riguarda la seconda parte, deriverebbe dal celto-ligure Erxi, da cui elci, cioè lecci, correlato al latino Ilex ed al greco ὕλη con il significato di legno, selva. Tale significato appare comprensibile, anche se, apparentemente, semplicistico, vista la vegetazione costituita, in gran parte, da lecci (Quercus Ilex). Attraverso tale bosco, si giunge, infatti, a muri a secco delimitanti fasce che raggiungono i resti di un muro, apparentemente eretto a scopo di delimitare l’area più elevata dell’altura (1), (41).

A questo livello si rileva un manufatto che potrebbe essere interpretato come una rudimentale stele antropomorfa, inclinata di circa 45°, ad angolo acuto aperto verso  nord, poggiante su un’altra pietra facente parte del suddetto muro (Foto 1). Nelle immediate vicinanze, si osserva un masso coppellato (Foto 2).

Photo 1

Foto 1

Photo 2

Foto 2

A circa 80 m in direzione sud ovest, superato un altro muro di cinta, con presenza di una tavola orizzontale in pietra sostenuta da pietre più piccole, si raggiunge la vetta del Bric Ercea dove si trova la cosiddetta Pila delle Penne: un ciappo con una vaschetta rettangolare di circa 60 x 35 cm, profonda mediamente 15 cm (Foto 3), canalette ed un petroglifo che potrebbe rassomigliare ad un bucranio (Foto 4).

Photo 3

Foto 3

Photo 4

Foto 4


Il toponimo Pila delle Penne è anch’esso composto da una prima parte (Pila) originata, con ogni probabilità, dal latino pila (vasca scavata, per lo più, nella pietra). Pila è riferibile, inoltre ad una radice *pl di origine pre e/o indoeuropea collegata all’acqua (5). Penne deriverebbe, invece, dal celtico Pen(n): cima, monte, che i popoli celto-liguri adoravano proprio come divinità dimorante sulle vette dei rilievi montuosi.

Sul pianoro che costituisce la vetta del Bric Ercea, si possono osservare altri manufatti litici come un masso coppellato (Foto 5), un’incisione molto deteriorata che potrebbe essere letta come un possibile antropomorfo schematico, cosiddetto orante (Foto 6), ed una pietra forata (Foto 7).

Photo 5

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Photo 6

Foto 6

Photo 7

Foto 7


Discussione

La datazione dei reperti descritti, tutti in Pietra del Finale (formazione rocciosa calcarea di origine bioclastica, ricca di residui fossiliferi, originatasi nel Miocene, cioè dai 20 ai 10 milioni di anni fa), costituisce un problema di difficile soluzione, in quanto i manufatti si trovano in un luogo “aperto” (45), facilmente modificabile da fattori meteorici, animali ed antropici (26), (47), frequentato dall’uomo anche in tempi abbastanza recenti.

La comparsa di petroglifi e di strutture megalitiche come dolmen, menhir e recinti, si può fare risalire ad un periodo compreso fra il Neolitico (che in Liguria si sviluppò fra il 5.800 ed il 3.600 a.C.) e l’Età del Bronzo (2200-900 a.C.); i terrazzamenti all’Età del Bronzo, mentre le fortificazioni di altura, come i Castellieri, presenti nel Finalese e nella Liguria occidentale, sono considerati ormai per lo più edificati nell’Età del Ferro (900-180 a.C.).

In particolare, i muri sommitali, costruiti con pietre molto voluminose, seguono l’andamento del terreno e sembrano atti ad avere fornito difesa e protezione, come quelli già citati e conosciuti dei castellieri dell’Età del Ferro. La tecnica di costruzione dei muri richiama anch’essa il modello megalitico: i grossi massi di pietra locale, sono accostati e sovrapposti e gli spazi lasciati liberi, fra un masso e l’altro, sono riempiti, talvolta, con pietre più piccole e terriccio. La possibile stele antropomorfa si trova appoggiata ad un masso presso una pietra coppellata (Foto 2); potrebbe essere raffrontata, per fattura e posizionamento, ad altri analoghi reperti, situati però a distanza considerevole, quali la Stele di Giurdignano, in provincia di Lecce (43).

I manufatti litici presenti sulla vetta del rilievo sono rappresentati da massi coppellati con profondi solchi, canalette ed incisure. Ciò può far pensare ad un loro utilizzo come mortai per la macinazione di cereali e/o legumi, onde ottenere farine alimentari, oppure come vaschette di raccolta di acqua per l’abbeveramento degli animali ivi presenti o attirati a scopo venatorio. Bisogna anche considerare una loro possibile destinazione per la raccolta del sangue di detti animali dopo la loro uccisione, sia a scopo alimentare che sacrificale. Tale ipotesi può essere suffragata dal fatto che sulla superficie dell’affioramento roccioso in cima al Bric Ercea, oltre alla bene evidente vasca, è presente una profonda incisione che potrebbe essere letta come un “bucranio” (corna e cranio bovini), eventualmente rapportabile a culti legati alla fertilità.

La presenza della vasca scavata nella pietra, di altri rudimentali bacinetti, della tavola orizzontale in pietra sostenuta da pietre più piccole (Foto 8) può ricordare le evidenze del santuario di Panoias (Portogallo settentrionale), con funzione di Serapeo, dove, alla base di una serie di grandi rocce granitiche montonate incise con vasche, canali e coppelle vi era (è stata resa illeggibile alla fine dell’800) la seguente iscrizione in Latino, a carattere liturgico, risalente al III sec. d.C. (14): “HVIVS HOSTIAE QVAE CADVNT HIC IMM(ol)ANTVR EXTA INTRA QVADRATA CONTRA CREMANTVR – SAN(gu)IS LAC(i)CVLIS (iuxta) SVPERFV(ndi)TVR” (cioè: “Qui sono consacrate agli dei le vittime che vi vengono abbattute: le loro interiora vengono bruciate nelle vasche quadrate e il loro sangue si diffonde nelle piccole vasche circostanti”).

Photo 8

Foto 8


La presenza di estesi affioramenti rocciosi con caratteristiche simili è osservazione non rara nel Finalese. Il fatto, inoltre, che questi possibili “altari in pietra” siano reperiti su luoghi elevati indica, probabilmente, la volontà di scegliere un sito appropriato, dal quale si potesse avere una sorta di controllo visivo del territorio sottostante, in rapporto anche alla sacralità delle postazioni di altura e delle cime montane, tipica delle popolazioni celto-liguri (8), (24).

Le rocce coppellate e forate potrebbero essere anche state utilizzate come supporti per pali, in sede di basamenti di capanne. Ciò indicherebbe una frequentazione umana stanziale, per brevi e/o lunghi periodi.

La presenza di gruppi umani che si aggregarono anticamente in questa zona (per ragioni cultuali, per il sostentamento, e la difesa da aggressioni esterne, dai saccheggi, dai furti, soprattutto di bestiame), si estendeva su un’area molto più vasta, rispetto al solo sito trattato nel presente lavoro. Il sito, attualmente ricco di vegetazione, infatti, sitrova a breve distanza da altre strutture di interesse archeologico ed archeoastronomico, come il Dolmen di Monticello, l’Altare in pietra, i petroglifi, l’”Osservatorio”, con attigua Casella, di Bric Pianarella, i Ciappi (dei Ceci e delle Conche), il Complesso di Marcello Dalbuono, descritti in precedenza (10), (29), (30), (31), (33), (34), (35), (36), (37), (38), (39). Tali luoghi potrebbero, inoltre, essere stati adibiti al culto delle divinità e/o dei defunti (22), (23), (46).

La realizzazione di strutture megalitiche, quali menhir e dolmen, viene generalmente collocata in un arco di tempo che va dalla fine del V millennio alla fine del III millennio a.C. (44). Dolmen e menhir non sembrano estranei all’area culturale del Finalese e subalpina come si pensava fino a poche decine di anni addietro. Si riteneva, infatti, che la cultura megalitica si fosse arrestata nella regione transalpina, senza oltrepassare le Alpi. Unica eccezione, oltre a Sardegna e Corsica, l’area pugliese, i cui dolmen, pietre-fitte e specchie erano però attribuiti all’influsso di popolazioni provenienti dalla penisola balcanica attraverso l’Adriatico. La pubblicazione di S. Puglisi La Civiltà Appenninica. Origine delle comunità pastorali in Italia (40) alla fine degli anni ’50 del secolo scorso e la scoperta, negli anni ’60, della necropoli megalitica di Saint Martin de Corléans, ad Aosta, dimostrarono l’infondatezza di questa tesi (15), (16), (17), (18), (19), (21). Per quanto riguarda la Liguria, nella seconda metà degli anni ’80 sono stati identificati a Nord di Sanremo (Provincia di Imperia) due tumuli sepolcrali circolari, uno dei quali, studiato con metodi stratigrafici dalla locale sezione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, ha potuto essere attribuito alla fase finale dell’Età del Bronzo (1). Veniva così dimostrata la presenza del megalitismo in questa regione. Di conseguenza, anche altri manufatti presenti in Liguria, soprattutto nella zona del Finalese (compresi il menhir ed il dolmen di Verezzi), fino ad allora attribuiti, pur con riserve, alla civiltà contadina recente (21), possono assumere un diverso significato (10), (11), (12), (13).

Conclusioni

Il Bric Ercea è un’area che merita ulteriori approfondimenti. Il reperimento di petroglifi e di megaliti può suggerire una frequentazione estesa a vari periodi della preistoria, ma anche a periodi successivi e fino ad un’epoca vicina alla nostra (2), (3), (4), (6), (7), (8), (9).

La possibile presenza di megaliti, inoltre, può essere considerata come un marcatore dei legami esistenti fra Mediterraneo, Italia Nord Occidentale ed Europa Transalpina. In questa prospettiva, la Liguria e, soprattutto, il Finalese – grazie alle peculiarità geologiche, paleontologiche e paletnologiche, si consideri anche per il Neolitico il ritrovamento del “Token” di Pian del Ciliegio (9), (16), (32), (44) – possono rappresentare un crocevia per tali scambi commerciali e culturali.

 

Bibliografia

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© Alfredo Pirondini, May 2014


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