Il Riparo Ranaldi, in località Serra Pisconi, prende nome dal suo scopritore, Francesco Ranaldi, archeologo e direttore del Museo Archeologico Provinciale di Potenza dal 1954 al 1988. Il sito si raggiunge attraverso un comodo sentiero attrezzato. È stato realizzato un eccellente allestimento museale all’aria aperta, che permette un facile accesso mediante una gradevole camminata di una ventina di minuti. il quadro cronologico e interpretativo delle pitture rupestri del Riparo Ranaldi segue due percorsi differenziati: da una parte una raffigurazione mesolitica di un branco di cervi nel bosco e dall’altra, più probabilmente, una scena di caccia neolitica in stile schematico (PDF disponibile).
di Andrea ARCÀ, Oriana BOZZARELLI
L’arte rupestre schematica
del Riparo Ranaldi, Basilicata
(8 novembre 2020)
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Il Riparo Rinaldi (Filiano – PZ; Ranaldi 1966; 1967) in località Serra Pisconi prende nome dal suo scopritore, Francesco Ranaldi, archeologo e direttore del Museo Archeologico Provinciale di Potenza dal 1954 al 1988; il sito – già segnalato da pastori, che riferivano genericamente di iscrizioni, e da Francesco Verrastro, coltivatore di terreni nell’area – è noto impropriamente come Tuppo dei Sassi, toponimo non corretto in quanto trae origine da un’indicazione errata Borzatti Von Löwenstern, Inglis 1990: 75).
Il riparo è ubicato in contrada Carpini (Filiano), tra le frazioni di Piano del Conte e Lagopesole (Avigliano – PZ), non lontano dalla sorgente del torrente Bradanello. La località, denominata Serra Pisconi, si trova a 879 metri di altitudine e fa parte dell’ampio bosco di Lagopesole – già rientrante nei possedimenti dei Doria Pamphili[1] – oggi foresta demaniale a prevalenza di cerro e roverella. La zona è un altopiano collinare con altitudine media di 700 m slm ed elevazioni massime che superano di poco i 1000. Serra Pisconi dista due km in linea d’aria da Piano del Conte, dove, sino ai primi decenni del ’900, si estendeva l’antico Lago Pesole (Lacus Pensilis), bacino di origine pleistocenica, ampliato con muro di contenimento e parapetto di terra nel XVIII secolo dai principi Doria Pamphili, poi prosciugato tramite un canale di scarico nel 1923-1925 per realizzare un villaggio zootecnico sperimentale.
Il 29 marzo 1972, per decreto ministeriale, è stata istituita la Riserva Naturale Antropologica I Pisconi, dove l’accesso è consentito solo per motivi di studio ed è vietata qualsiasi altra attività antropica. Alla tutela dell’area e del riparo, già oggetto di atti vandalici e oggi opportunamente protetto da rete e cancello metallici, provvede l’Azienda di Stato per le foreste demaniali. L’intero territorio di Filiano, oltre al riparo, è oggetto di ricerche archeologiche da oltre un trentennio.
Il sito, all’interno della Riserva, si raggiunge attraverso un comodo sentiero attrezzato. È stato realizzato un eccellente allestimento museale all’aria aperta, che permette un facile accesso mediante una gradevole camminata di una ventina di minuti, consentendo quindi l’effettuazione di visite guidate in completa sicurezza; nel 2011 infatti sono state installate reti metalliche per consolidare i blocchi rocciosi sovrastanti. Il Comune di Filiano, in collaborazione con la Protezione Civile e l’Associazione Pro Loco di Filiano[2], gestisce il servizio di accompagnamento nella Riserva. Per garantire una piena fruizione turistica e valorizzazione culturale del sito sono stati realizzati anche un Centro Visite[3] e un parcheggio in contrada Carpini.
Il Riparo Ranaldi si apre alla base di uno sperone di arenaria calcarea idrosolubile, fessurata e instabile; custodisce le prime tracce figurative dell’uomo in Basilicata, ovvero alcune pitture rupestri, una trentina circa di figure – principalmente cervi, cani, figure polilobate, antropomorfi, e pettiniformi – dipinte in ocra rossa su parete verticale; le pitture occupano un’area quasi rettangolare alta 65 e larga 52 cm. Secondo Franco Biancofiore, già ordinario di paletnologia alle Università di Bari e Roma II, che per primo le pubblicò, il “colore rosso vinaccia” fu applicato direttamente sulla roccia, una “superficie giallaccia” che non risulta essere stata preparata per dipingervi (Biancofiore 1965a; 1965b). Lo stesso Biancofiore chiese concessione di ricerca all’allora Soprintendente alle Antichità della Lucania, Dino Adamesteanu, rinvenendo in superficie, presso il suolo del riparo, cocci ceramici appartenenti alla “civiltà di Matera”, terminologia che oggi si riferisce a una fase non iniziale del Neolitico Antico (seconda metà del VI mill. a.C).
Analizzando le figure dal punto di vista stilistico, per quanto riguarda quelle lobate riscontrò somiglianze con gli “idoli” piatti anatolici e con la sagoma degli “idoli” dipinti della Grotta del Genovese di Levanzo, ben accostabili questi ultimi agli “idoli” a violino tipo Kusura della prima età del Bronzo dell’Anatolia occidentale, prima metà del III millennio a.C.
Per quanto riguarda le figure di animali, Biancofiore le accostò a quelle dell’arte schematica iberica; tale arte, secondo gli studi più recenti (Torregrosa Giménez 1999; Collado Giraldo, García Arranz, 2013), copre un arco cronologico dal Neolitico Antico alla fine dell’età del Rame-inizi dell’età del Bronzo, cioè dalla fine del VII a tutto il III millennio a.C. Dal punto di vista interpretativo, così come Ranaldi, Biancofiore evidenziò un rapporto tra i quadrupedi e le figure umane, riconoscendo la raffigurazione di una scena di caccia; su questa base i due studiosi ipotizzarono la persistenza di tradizioni tardo-mesolitiche, proprie di gruppi umani di cacciatori-raccoglitori nomadi – e non di pastori-agricoltori – che eventualmente potevano ancora sopravvivere in queste zone semi-montane e boscose nel corso del primo Neolitico. Le pitture del riparo avrebbero così potuto testimoniare l’influenza, per acculturazione favorita dalla “colonizzazione” agricola proveniente da Oriente, di nuovi canoni stilistici di tipo schematico su di una cultura figurativa ancora basata sul naturalismo. Francesco Ranaldi parla espressamente di caccia organizzata tribale, con animali colpiti o forse trattenuti al laccio, ipotizzando altresì uno sfondo rituale o cerimoniale per le pitture rupestri (Ranaldi 1966).
A questo proposito va ricordato come nei ripari dipinti della penisola iberica vi sia una parziale sovrapposizione temporale fra le pitture rupestri di stile levantino e quelle di tipo schematico, sovrapposizione interpretata come convivenza all’interno dello stesso territorio di gruppi umani di tradizione mesolitica, che producevano arte in stile Levantino, caratterizzata da figure umane e animali naturalistici, e altri portatori della cultura neolitica, che provenivano da Oriente, anche via mare, e producevano arte in stile schematico (Torregrosa Giménez 1999). Per contro, è anche opportuno tenere conto di quanto la presenza di erbivori selvatici possa costituire una minaccia per le aree agricole, con rischio di distruzione per i raccolti, e di come l’allontanamento di tale minaccia, tramite caccia o cattura, non debba per forza di cose rispondere unicamente agli schemi di un’economia di cacciatori-raccoglitori, ma anche a quelli di gruppi umani produttori di cibo, come peraltro, in fasi ben più recenti, mitologie legate alla cattura del cervo possono ancora testimoniare.
Nell’estate del 1971 Edoardo Borzatti von Löwenstern, in seguito docente di paleontologia umana all’Università di Firenze, su invito del soprintendente Adamesteanu, condusse uno scavo archeologico ai piedi della parete dipinta; effettuò una trincea di 5×3 m, arrivando sino a 4 metri di profondità (Borzatti von Löwenstern 1971). Riscontrò terreno acido, che verosimilmente aveva impedito la conservazione di eventuali resti ossei e faunistici, e non trovò traccia dei frammenti fittili in “stile di Matera”. Rinvenne invece 387 schegge o frammenti di industria litica in selce chiara non di buona qualità, lavorata sul posto, che per microlitizzazione esasperata, frequenza di geometrici e assenza di ceramica, attribuì al Mesolitico[4], non arcaico, bensì di una fase iniziale tardenoisiana. Nella relazione scientifica della Soprintendenza archeologica della Basilicata si parla di facies castelnoviana (Leonini 2015), che è la più recente del Mesolitico.
Successivamente l’archeologo affrontò gli aspetti iconografici (Borzatti von Löwenstern, Inglis 1990), riconoscendo la presenza di ulteriori elementi iconici, quali i pettiniformi, probabili zoomorfi, e individuando almeno due fasi pittoriche, osservando che i tre tratti verticali degli “arti” inferiori dell’elemento polilobato di maggiori dimensioni sembrano appartenere ad una figura sottoposta. Espresse poi marcati dubbi sull’interpretazione come figure umane dei lobati, dichiarando che “il complesso pittorico presenta elementi misti che ne rendono difficile l’esatto inquadramento sia cronologico che culturale”, anche perché sarebbe del tutto oscura l’interazione tra figure umane e cervi: la contraddizione nascerebbe dalla presenza di due stili, veristico, a suo parere, per gli animali e schematico-astratto per le altre figure, che nonostante ciò sembrano essere in rapporto con le precedenti. Su queste basi definisce impressionistico lo stile delle figure animali, suggerendo un inquadramento simile a quelle dell’arte Levantina, che nella penisola iberica è di tradizione mesolitica e sopravvive sino agli inizi del Neolitico Antico. In questo modo, nella sua interpretazione, le pitture rupestri del Riparo Ranaldi potrebbero essere messe in relazione con i reperti mesolitici da lui rinvenuti nello scavo ai piedi del riparo. Più recentemente lo studioso ha compiuto un ulteriore passo dal punto di vista esegetico, leggendo nelle figure lobate la rappresentazione di elementi vegetali, quali alberi – contro i quali i cervi maschi adulti si strofinerebbero per marcare il territorio – o foglie di quercia, in particolare di farnetto (Quercus frainetto; Borzatti von Löwenstern 2016 in Sabia 2016: 188); in sostanza, riconosce la presenza di una scena naturalistica, popolata da un branco di cervi nel bosco
Per quanto riguarda le riproduzioni grafiche del pannello del Riparo Ranaldi, non si dispone ad oggi di un vero e proprio rilievo iconografico, ma solo di disegni più o meno schematici, quali quelli pubblicati in Ranaldi 1966, Ranaldi 1967 e in Borzatti Von Löwenstern, Inglis 1990. Più definita è la riproduzione a colori e ad acquerello di Edoardo Borzatti von Löwenstern pubblicata in Sabia 2016: 187. Solo in Biancofiore 1965b, tav. I, appare una numerazione delle figure, effettuata su base fotografica, dove ne vengono catalogate 11.
È auspicabile che la conoscenza di tale importante sito di arte rupestre possa essere arricchita grazie alla produzione di accurati corredi di documentazione, sia per il rilievo iconografico che per la documentazione fotografica digitale, non escludendo la realizzazione di un museo virtuale, che potrebbe valorizzarlo ulteriormente, come elemento propedeutico alla visita o come approfondimento successivo. Si veda a questo proposito l’esempio relativo alla recente creazione del Museo Virtuale della Balma dei Cervi di Crodo[5], altro riparo con pitture rupestri, ubicato in Piemonte, dove la visita virtuale, grazie alla presenza di visioni panoramiche, di elementi di realtà aumentata e di contestuali contenuti relazionati, consente ai fruitori, sotto certi aspetti, un’esperienza più ricca e dettagliata che dal vero
Come si è visto, attribuzione cronologica e interpretazione delle pitture rupestri del Riparo Ranaldi seguono due distinti percorsi: raffigurazione naturalistica mesolitica di un branco di cervi nel loro habitat da una parte e scena schematica di caccia neolitica, con persistenza di tradizioni più antiche, dall’altra. Per questo motivo sia nelle pubblicazioni archeologiche che nella documentazione amministrativa le figure del Riparo vengono diversamente attribuite all’una o all’altra fase archeologica, Paleolitico-Mesolitico o Neolitico, con una significativa differenza di qualche millennio.
Lo stile delle figure è però indubbiamente schematico: contrariamente all’arte Levantina, di tradizione mesolitica, dove i corpi sono resi in modo naturalistico, al Riparo Ranaldi cervi (almeno 5), così come quelli di Porto Badisco, e cani sono resi tramite segmenti a bastoncello; è una caratteristica che si ritrova pienamente nell’arte schematica della penisola iberica, che si estende lungo l’arco mediterraneo sino alla Provenza e all’arco alpino occidentale. Numerosi i ripari con rappresentazioni di branchi di cervi e scene di caccia: tra gli esempi più notevoli si possono citare la Cueva del Tajo de las Figuras (Breuil, Burkitt 1929: 11-24, pl. I, III, IV), l’Abrigo principal de Bacinete (Ibid. XXVII e XXXI) e la Cueva del Pajarraco (Ibid. pl. XXIV), tutti facenti parti del gruppo denominato Arte Sureño, che occupa l’estremo sud della penisola iberica, in Andalusia.
Tornando al Riparo Ranaldi, le figure definibili come polilobate sono quattro, tra le quali una di maggiori dimensioni. Quanto a disposizione spaziale e allineamento non paiono integrarsi particolarmente bene con quelle animali, nonostante non si possa escludere un’interazione. Di queste, tre si distribuiscono in allineamento in colonna lungo l’estremità sinistra del pannello dipinto: come si evince dall’esame delle fotografie sottoposte a trattamento digitale (decorrelazione cromatica spinta) più che allo schema delle figure polilobate, meglio rispondono a quello delle figure antropomorfe schematiche con arti superiori e inferiori arcuati verso il basso, di sesso maschile, ad arti e busto ingrossati e arrotondati alle estremità.
Figure schematiche ad arti abbassati, ma più ortogonali, si ritrovano anche nella Grotta del Genovese di Levanzo. La figura maggiore, pur mantenendo i segmenti del possibile busto e arti ingrossati e arrotondati, mostra una conformazione simmetrica a “macchia di Rorschach”, con quattro lobi bilaterali sporgenti rispetto al corpo centrale, dei quali il secondo e l’ultimo paio, partendo dall’alto, si piegano ad angolo verso il basso. È in questa figura che Edoardo Borzatti von Löwenstern riconosce una sovrapposizione, oltre che interpretarla più recentemente come foglia di farnetto.
Sempre nell’arte schematica iberica, però, sono diffuse figure idoliformi – sono così definite anche alcune di quelle di Levanzo – tra le quali i cosiddetti idoli occhiuti; alcune a volte presentano la moltiplicazione degli arti, tanto da essere definite poliantropomorfe, e a volte copricapi di varia foggia, anche piumati, sì da renderle interpretabili come personaggi di spicco o di particolare valenza rituale o mitologica. I tre lobi superiori, due laterali e uno apicale, della grande figura polilobata del Riparo Ranaldi potrebbero essere interpretati come rappresentazione di un copricapo a larga falda, a possibile funzione cerimoniale. Sulla base delle sovrapposizioni e dei confronti con l’arte mobiliare, nello studio dell’arte schematica iberica tali figure sono in genere attribuite alle fasi meno antiche, e in particolare al Calcolitico, e quindi al III millennio a.C. Pur in assenza di datazioni dirette archeometriche, peraltro raramente ottenibili ed ottenute per la mancanza di leganti organici, non è da escludere che anche nel palinsesto del Riparo Ranaldi si possano riconoscere la due fasi pittoriche, con la raffigurazione di un branco di cervi in quella più antica, neolitica, e di idoliformi e figure umane a braccia arcuate in quella successiva, calcolitica.
Le pitture del Riparo Ranaldi, le uniche finora conosciute in Basilicata, sono un bene archeologico e rappresentano un patrimonio culturale di estremo valore e rarità. Unitamente quelle della Grotta dei Cervi a Porto Badisco (Otranto), della Grotta del Riposo di Rignano Garganico e della Grotta del Genovese nell’isola di Levanzo fanno parte di quel ristrettissimo numero di siti dell’Italia meridionale con pitture rupestri post-paleolitiche che solo a séguito di delicate e irripetibili condizioni di conservazione hanno potuto trasmettere preziose immagini del nostro lontano passato. Uno spiraglio sulla preistoria e sulle sue credenze che non ci è concesso intravvedere in altro modo: sono infatti pochissimi in tutta Italia i siti con pitture rupestri preistoriche, anche quelli sotto riparo. Il loro studio e la loro valorizzazione sono un dovere dell’archeologo e un’opportunità per le comunità locali, che possono trovare in essi l’espressione più antica e più preziosa del loro patrimonio culturale.
Nel 2016, in occasione del cinquantesimo anniversario della scoperta delle pitture (1965-2015) da parte di Francesco Ranaldi, è stato pubblicato un interessante volume, attentamente curato da Vito Sabia (Sabia 2016). L’opera, dedicata alla memoria dello scopritore, è meritoria e degna di diffusione, in quanto raccoglie in un solo volume tutti gli scritti specialistici e divulgativi pubblicati sul riparo dal 1965 ad oggi, anche con la documentazione degli scavi condotti da Edoardo Borzatti von Löwenstern, tra i più attenti studiosi dell’area. Il volume, che contiene una ricca sezione fotografica, specifica e di ambiente, è corredato di documenti inediti, quali un dattiloscritto di Francesco Ranaldi, e raccoglie in appendice gli atti relativi alla costituzione della Riserva Antropologica I Pisconi, all’interno della quale si trova il sito.
Il progetto EuroPreArt[6], database di arte preistorica finanziato dall’Unione Europea, Programma Educazione e Cultura 2000, consultabile online ad accesso libero (Arcà 2012), contiene una scheda archeologica descrittiva[7] relativa al Riparo Ranaldi che riporta un rilievo a disegno delle pitture pubblicato in Borzatti von Löwenstern 1995. Informazioni sul Riparo Ranaldi sono rinvenibili anche su Wikimedia Commons (progetto della Wikimedia Foundation), uno dei più grandi archivi di immagini digitali e file multimediali con licenza libera disponibili in rete, finalizzato alla diffusione della conoscenza e connesso a Wikipedia.
Tra le altre, sono accessibili online l’immagine digitale del “Disegno delle pitture rupestri di Riparo Ranaldi”[8] eseguito dallo stesso Ranaldi e il disegno della stratigrafia archeologica eseguito da Edoardo Borzatti von Löwenstern in occasione della campagna di scavi del 1971[9]. Inoltre il Comune di Filiano ha aderito nel 2018 all’iniziativa di valorizzazione del patrimonio culturale Wiki Love Monuments Italia, caricando sulla piattaforma Wikimedia Commons altre immagini relative al riparo e alle pitture rupestri[10]. Tutte le immagini presenti in Wikimedia Commons sono pubblicate con licenza Creative Commons Attribution_Share Alike 4.0, che permette liberamente a chiunque di riutilizzarle, modificarle, condividerle, pur di riconoscere una menzione di paternità adeguata e di distribuirle con la stessa licenza del materiale originario. Infine esiste anche la voce di Wikipedia riguardante il Riparo Ranaldi[11], impropriamente denominato Tuppo dei Sassi.
È auspicabile che il Riparo Ranaldi possa ancora nel futuro essere oggetto di studio, in modo tale da permetterne un’attribuzione cronologica più dettagliata e completarne il percorso esegetico, elementi funzionali al potenziamento sia della valorizzazione e fruizione culturale del sito che della sua fruizione didattica, finalizzata ad avvicinare le nuove generazioni alle radici del nostro patrimonio culturale, oltre che svolgere un ruolo importante nell’àmbito della promozione turistica per la valorizzazione delle risorse di questo magnifico territorio.
Andrea Arcà
Cooperativa archeologica Le Orme dell’Uomo, Valcamonica
Oriana Bozzarelli
Università di Torino
[1] Antica e blasonata famiglia nobiliare estinta nel primo dopoguerra, principi di Melfi dal XV secolo.
[2] Si veda il sito https://www.prolocofiliano.it/, ultima consultazione 30 maggio 2018. Per contatti: info@prolocofiliano.it –See the website, last check on May 30, 2018.
[3] Il fabbricato è stato realizzato in seno all’intervento di “Conservazione, valorizzazione e fruizione della stazione paleolitica Tuppo dei Sassi-Acer Montis di Filiano”, finanziato dalla Regione Basilicata, secondo l’Accordo di Programma Quadro III – Integrativo Beni Culturali BF – DD n. 73AB.2010/D. 213 del 29/04/2010 dell’Ufficio Turismo Terziario e Promozione Integrata – Dipartimento Attività Produttive, Politiche dell’Impresa e Innovazione Tecnologica.
[4] Il Mesolitico precede il Neolitico, che nell’Italia meridionale ha inizio alla fine del VII millennio a.C.
[5] Vedi sito del Museo Virtuale alla url <http://www.balmadeicervi.it>.
[6] Si veda il sito <http://www.europreart.net>, ultima consultazione 30 maggio 2020.
[7] La scheda è consultabile alla URL <http://www.europreart.net/cgi-bin/baserun.cgi?_cfg=record.cfg&_fil=code%3D%22rrana001%22>, last check on May 30, 2020.
[8] Si veda la url <https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Disegno_delle_pitture_rupestri_di_%22Riparo_Ranaldi%22.png>.
[9] Si veda la URL < https://it.wikipedia.org/wiki/Tuppo_dei_sassi#/media/File:Stratificazione_del_suolo_in_Tuppo_dei_Sassi.png>.
[10] Si veda qui il dettaglio delle singole immagini.
[11] Si veda la url <https://it.wikipedia.org/wiki/Tuppo_dei_sassi>.
Bibliografia
Arcà A. 2012. EuroPreArt, segni del passato e memorie del presente. European prehistoric art, www.europreart.net, in: De Marinis R, Dalmeri G, Pedrotti A. (eds.), IIPP – Atti della XLII Riunione scientifica, l’Arte Preistorica in Italia, Trento, Riva del Garda, Val Camonica, 9-13 ottobre 2007, Preistoria Alpina, 46, vol. II, pp. 167-170.
Biancofiore F. 1965a. Nuovi dipinti preistorici in Lucania, Accademia nazionale dei Lincei, Rendiconti della classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, fasc. V, serie VIII, vol. XXXIX, pp. 317-320.
Biancofiore F. 1965b. I nuovi dipinti preistorici della Lucania, Rivista di Antropologia, LII, pp. 103-109, 2 tavv.
Borzatti von Löwenstern E. 1971. Prima campagna di scavi al Tuppo dei Sassi (Riparo Ranaldi) in Lucania, Rivista di Scienze Preistoriche, XXVI, 2, pp. 373-392.
Borzatti von Löwenstern E., Inglis B. 1990. Le pitture rupestri del Riparo F. Ranaldi (Castellagopesole – Potenza), Studi per l’Ecologia del Quaternario, 12, pp. 75-81.
Borzatti von Löwenstern E. 1995. Le pitture rupestri del Riparo F. Ranaldi, in Il Paleolitico dell’Italia centro-meridionale, Preistoria e Protostoria, guide archeologiche, n. 1, ABACO , Forlì , pp. 114-116.
Borzatti von Löwenstern E. 2016. Piccole pietre e vite impietrite sotto la cenere: Atella 800 millenni prima della storia, Rionero in Vulture.
Breuil H., Burkitt M.C. 1929. Rock paintings of southern Andalusia: a description of a Neolithic and Copper Age art group, Oxford.
Collado Giraldo H., García Arranz J.J., 2013. Reflexiones sobre la fase inicial del arte rupestre esquemático en Extremadura a raíz de las recientes investigaciones, in García J.M., Hernández Pérez M.S.(coord.), Actas del II Congreso de Arte Rupestre Esquemático en la península Ibérica, Comarca de Los Vélez, 5-8 de Mayo 2010, Comarca de Los Vélez, pp. 287-299.
Graziosi P. 1973. L’arte preistorica in Italia, Firenze.
Leonini V. 2016. Filiano (PZ), proposta di dichiarazione dell’interesse culturale di Riparo Ranaldi, loc. Serra Pisconi, ai sensi degli artt. 13 e 14 del D. Lgs 42/2004, in Sabia 2016, pp. 221-222.
Ranaldi F. 1966. Unique prehistoric cave art found in Italian mountains, The Illustrated London news, January 15, 1966, p. 27.
Ranaldi F. 1967. Riparo sottoroccia con pitture preistoriche al Tuppo dei Sassi o Serra Carpino in agro di Filiano, Potenza, Bimestrale dell’Amministrazione Provinciale, novembre-dicembre 1967.
Sabia V. (ed.) 2016. Filiano. Le pitture rupestri di Tuppo dei Sassi, Riparo Ranaldi, Filiano, raccolta di scritti, Filiano.
Torregrosa Giménez P. 1999. La pintura rupestre esquématica en el levante de la península Ibérica, tesis doctoral, Universidad de Alicante, Facultad de Filosofía y Letras, Departamento de Prehistoria, Arqueología, Historia Antigua, Filología Grieca y Filología Latina.
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