Viene descritto il sito archeologico, la sua ubicazione, i reperti archeologici ed i rapporti con altri siti della zona del Finalese (Provincia di Savona, Liguria, Italia Nord Occidentale) e del Bacino del Mediterraneo.
by Alfredo Pirondini
Il Riparo Sotto Roccia di Pian del Ciliegio:
un Sito Neolitico del Finalese
Riassunto
Viene descritto il sito archeologico, la sua ubicazione, i reperti archeologici ed i rapporti con altri siti della zona del Finalese (Provincia di Savona, Liguria, Italia Nord Occidentale) e del Bacino del Mediterraneo.
Descrizione
Il sito archeologico di Pian del Ciliegio (in ligure Cian da Séréja) è costituito da un riparo sotto roccia ubicato in Val Ponci, nei pressi dell’Altopiano delle Manie, Comune di Finale Ligure (Provincia di Savona, Liguria di Ponente).
Le coordinate, ottenute tramite apparato GPS, sono: altitudine: 238 m.s.l.m.; latitudine: 44°12’8,388″ N; longitudine: 8°22’29,748″ E.
La zona presenta evidenti e molteplici fenomeni carsici ed è caratterizzata dalla presenza di numerose rocce, erose dagli agenti meteorici, costituite da calcare miocenico bioclastico, ricco di testimonianze fossili: la Pietra del Finale.
Il carsismo ha portato alla formazione di numerose grotte e di cavità naturali, spesso abitate dall’uomo già dal Paleolitico, come l’Arma (termine ligure che, in italiano, significa Grotta) delle Manie, una delle più ampie grotte del Finalese, che dista circa 420 metri in linea retta dal Riparo in esame.
Pian del Ciliegio è raggiungibile percorrendo una deviazione in direzione Sud-Ovest, posta sulla sinistra del sentiero (segnavia: due quadrati rossi) che, scendendo dall’Altopiano delle Manie lungo la Valle del Rio Voze, giunge in Val Ponci, in prossimità del Terzo Ponte Romano detto, appunto, “Ponte delle Voze”.
La deviazione precedentemente descritta, è invasa dalla vegetazione e l’Autore (l’ultimo sopralluogo risale al luglio 2010) ha ripristinato il sentiero di accesso, che deve superare due fasce di muri a secco per arrivare allo spiazzo delimitato da una parete rocciosa a sud, ove si apre il Riparo sottoroccia (Fotografia 1) e, a sinistra di quest’ultimo, una grotticella (n° F3 del Catasto delle Grotte Liguri), con muretti a secco (Fotografia 2).
Attualmente la zona di scavo del Riparo è protetta da inferriate e non è accessibile al pubblico
Alla base dell’ingresso della grotticella si nota un masso grossolanamente squadrato che presenta un cruciforme orientato (Fotografia 3), posto alla base di una roccia più voluminosa (Fotografia 4).
Il petroglifo non è di univoca datazione, ma i suoi bordi, abbastanza netti, pur in presenza di alterazioni dovute all’esposizione meteorica, fanno pensare ad un’epoca successiva a quella dei reperti del vicino riparo: presumibilmente non anteriori all’Età del Ferro che, in Liguria, si sviluppò fra il 900 ed il 180 a.C.
I massi descritti, inoltre, richiamano la struttura degli altari megalitici presenti nel Finalese (6), (7), (8), (9), (19), tipici delle culture Celto-Liguri e risalgono ad un lasso di tempo che va dalla fine del quinto, alla fine del terzo millennio a.C.: periodo comprendente il Neolitico e l’Età del Bronzo (10), (12), (13), (14), (15), (16). D’altra parte, il cruciforme, potrebbe essere considerato anche un segno di cristianizzazione (di epoca romano-cristiana e/o post-romana) di una zona che avrebbe avuto una funzione religiosa (14), attinente anche al culto dei morti, come dimostrano i resti di una sepoltura reperiti nella zona del Riparo.
Bisogna ricordare che tutta l’area fu presumibilmente frequentata anche in epoche più antiche (Paleolitico), vista la vicinanza con l’Arma delle Manie, per cui la presenza dell’uomo in questa zona, sarebbe documentabile per un arco temporale estremamente esteso: dal Paleolitico, fino ai nostri giorni (1).
Le campagne di scavo (11) sono state condotte, facendo seguito alla segnalazione di scavi non autorizzati, tra la fine del 1992 e l’estate del 1997 da parte della Soprintendenza Archeologica della Liguria.
Dagli studi condotti risulta che il sito fu frequentato per 400-500 anni, prevalentemente per la lavorazione e la produzione di manufatti in terracotta. Sono stati ritrovati residui carboniosi riferibili a resti di forni a catasta, frammenti ceramici, manufatti litici per la lisciatura del vasellame.
Il deposito dei materiali, delle dimensioni di circa 40 mq, è presente esclusivamente in una depressione del terreno, prodotta dall’erosione di un corso d’acqua che si immetteva in un inghiottitoio, successivamente sepolto. Tale corso d’acqua, per i noti fenomeni carsici, si è poi spostato nell’attuale alveo del Rio Voze.
Le analisi sui carboni e sui pollini hanno consentito di datare i reperti al Neolitico (che si sviluppò in Liguria dal 5800 al 3600 a.C.) e, più precisamente, al periodo della “Cultura della Ceramica Impressa” e della “Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata” (Neolitico Medio: 5000 al 4200 a.C.).
La stratigrafia del sito (Figura 1) attesta una successione di frequentazioni che partono dal Neolitico antico, con una successione di livelli antropizzati (battuti, riporti di terreno, letti di cenere, e livelli di uso grigio scuri, impregnati di sostanza organica e ricchi di carboni) (Fotografie 5 e 6) e livelli di limo sterile, derivanti da fenomeni di esondazione del corso d’acqua antistante il sito.
Le analisi micromorfologiche dei livelli evidenziati hanno consentito di comprendere le diverse modalità di frequentazione del sito: la presenza di coproliti di origine caprovinica e l’alternanza di livelli di uso (con strati cinerei e limi sterili) avvalorano l’ipotesi di un uso stagionale del riparo (principalmente come ricovero degli animali), con un uso abitativo e di produzione di utensili ceramici (come dimostrano le evidenze della cottura dell’argilla) ed anche funerario, come dimostrato dai resti di una sepoltura.
Gli strati di cenere indicano come il sito venisse ripulito, tramite incendio, alla ripresa della frequentazione umana, dai residui di foraggi delle stagioni precedenti a dal materiale accumulatosi durante l’abbandono.
La formazione di un suolo nella parte superiore del deposito fa ritenere che il riparo non sia stato più frequentato, in modo significativo, dopo le fasi documentate. Nel deposito sono stati riportati ed identificati resti di semi e frutti carbonizzati, riferibili a cereali (orzo, farro, frumento tenero) ed a risorse forestali, come sambuco, lampone, nocciolo e pruno selvatico. Sono, inoltre, presenti numerosi cotiledoni di ghiande che potevano essere usate anche a scopi alimentari.
Le datazioni radiocarboniche (11), eseguite per i livelli della “Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata”, risalgono al V millennio a.C. (tra il 4700 ed il 4300 circa). Indagini archeometriche (5), condotte con microscopia ottica e XRPD (X-Ray Powder Diffraction) su campioni appartenenti alle culture dei Vasi a Bocca Quadrata e della Ceramica Impressa, suggeriscono differenti fonti di materie prime e di tecniche di produzione.
La natura delle inclusioni minerali indica, in tutti i casi, una produzione locale o circumlocale (raggio massimo di circa 10 Km).
Gli impasti delle ceramiche dei Vasi a Bocca Quadrata contengono, infatti, elementi che possono essere riferiti alle rocce metamorfiche paleozoiche affioranti nella zona (con presenza di inclusioni di calcite) aventi caratteristiche tipiche di altre produzioni di ceramica neolitica provenienti da contesti di grotte studiate nella zona.
Al contrario, la “ceramica impressa”, anche se è stata ritrovata in quantità più limitata, mostra una grande variabilità per quanto concerne la sua composizione e la zona di provenienza.
Accanto, infatti, a diversi impasti locali (con inclusioni di rocce metamorfiche e la presenza di una quantità variabile di calcite), sono state reperite anche miscele con inclusioni ofiolitiche (provenienti, probabilmente, dalla Toscana) o vulcaniche (originarie, con ogni probabilità, dall’Italia Centrale).
Questi dati confermano ed integrano quelli dei vicini siti archeologici della Grotta delle Arene Candide e della Pollera: durante il Neolitico Antico c’era, presumibilmente, una circolazione via mare, a lunga distanza, di persone e merci (incluse le ceramiche).
Il reperimento di un cilindro di terracotta (11) con la una serie (5×12) di incisioni lineari, sulla sua superficie, ortogonali fra loro, formanti 60 caselle quadrate, rappresenta un oggetto unico nel panorama del neolitico italico. Si tratta, probabilmente di un “Token”: termine inglese che si può tradurre come “segno stampato”, “contrassegno stampato”, ma che in termini archeologici indica un sistema di registrazione numerica. Il manufatto presenta, in 8 delle 60 caselle, un punto, impresso prima della cottura e, verosimilmente, sarebbe un antichissimo sistema di numerazione. Reperti simili si trovano in aree archeologiche, di epoca contemporanee al sito in esame, situate, soprattutto, in Medio Oriente: l’oggetto in esame sarebbe unico fra i reperti del Neolitico italiano.
Discussione
Il Neolitico fu un periodo decisivo della Preistoria: in meno di 2000 anni l’esistenza dell’uomo mutò più profondamente che nei 2 milioni di anni che lo precedettero. Molti Autori parlano di “Rivoluzione Neolitica”: l’uomo, da Raccoglitore e Cacciatore, divenne Agricoltore ed Allevatore, cominciando a controllare le risorse naturali per adattarle alle proprie necessità alimentari. Contemporaneamente, l’uomo cominciò ad essere stanziale e questo portò a mutamenti in una società, fino ad allora dedita al nomadismo. Tali radicali cambiamenti dovuti, secondo alcuni Autori (2), (3), (18) all’arrivo di nuove popolazioni giunte in Liguria via mare dall’Italia Centro-Meridionale, secondo altri (4) ad un’origine autonoma a seguito di una crisi economica e tecnologica di gruppi mesolitici, sono testimoniati proprio nelle Caverne del Finalese (Arene Candide, Pollera) e nel Riparo di Pian del Ciliegio.
Conclusioni
Pian del Ciliegio risulta essere un’area archeologica complessa che, probabilmente potrebbe riservare ulteriori ritrovamenti in caso di ripresa delle indagini, anche alla luce dei reperti esterni alla zona attualmente sede degli scavi. Il reperimento di petroglifi e di megaliti, dimostrerebbe una frequentazione antropica più estesa, anche alla zona della grotta F3, non solo durante il Neolitico, ma anche in periodi precedenti e successivi al Neolitico stesso (Età dei Metalli) fino ad un’epoca molto vicino alla nostra. Ricordo che l’Altopiano delle Manie e la omonima Arma, furono abitati fin dal Paleolitico e la presenza dell’uomo è testimoniata fino ai nostri giorni.
Il Finalese rappresenta, dunque, un’area cruciale per comprendere appieno gli sviluppi delle tappe della preistoria e storia umana.
© 2011 by Alfredo Pirondini
Bibliografia
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