TRACCE no. 9 – by Carlo Gavazzi
2nd International Congress of Rupestrian Archaeology
2-5 October 1997 DARFO BOARIO TERME
Simboli solari ? No, grazie: attenzione alle macine incompiute!.
La letteratura sull’arte rupestre delle Alpi Occidentali presenta varie segnalazioni di “simboli solari” datati alla preistoria e connessi a non meglio specificati riti religiosi, che in realtà sono macine incompiute…
La letteratura sull’arte rupestre delle Alpi Occidentali presenta varie segnalazioni di “simboli solari” datati alla preistoria e connessi a non meglio specificati riti religiosi, che in realtà sono macine incompiute: per qualche motivo non si è finito di estrarle dalla roccia. Allo stesso gruppo paiono appartenere manufatti circolari che, pur non collegati dagli scopritori ad alcun culto solare, sono stati pubblicati senza alcuna interpretazione. Benché già nel 1970 Pierre Daudry avesse messo in guardia contro tale confusione, a proposito dei “megaliti” e “simboli solari” della foresta del Barbeston (Aosta), essa è continuata anche in seguito: da Verzuolo al Mombarone di Graglia, da Cavour a Borgone di Susa molte macine interrotte a vari stadi della lavorazione sono… assurte a dignità religiosa, e si è giunti a vedere “probabili segni proto-alfabetici” nelle inevitabili tracce di scalpellatura che le ricoprono! Manufatti analoghi sul versante francese delle Alpi sono stati invece correttamente interpretati.
Il commercio delle mole per cereali, importante per l’economia delle nostre regioni lungo un arco di parecchi secoli, è stato studiato dagli storici sulla base di documenti d’archivio: rendiconti di pedaggi che alle “mole” e alle “clape”(termine col quale forse si indicavano i semilavorati) venivano imposti in luoghi di passaggio obbligato, quali Bard e Montjovet; oppure concessioni di privilegi, come quello accordato da Tomaso conte di Moriana nel 1215 al Comune di Vercelli, che poté così esercitare per lunghi anni un monopolio sulle macine valdostane rivendendole anche in Lombardia – monopolio mal visto da Ivrea, che lungo la “via delle mole” da St. Marcel a Vercelli era il centro più importante e dove esisteva o un magazzino o un opificio in cui i semilavorati venivano finiti.
Di tali “vie delle mole”, dai luoghi di estrazione a quelli di utenza, gli storici stanno così delineando una mappa. Essa è però largamente incompleta, e andrebbe integrata con quanto si vede tuttora sulle pareti delle nostre montagne: sovente infatti le macine incompiute e gli incavi corrispondenti a macine estratte ci parlano di cave di cui finora nei documenti scritti non è stata scoperta traccia. E’ perciò importante che i ricercatori riconoscano e pubblichino questo tipo di manufatti – quantunque esso non ricada nell’àmbito dell’arte rupestre stricto sensu – con particolare attenzione alle caratteristiche litologiche, in modo che per i futuri studiosi divenga possibile identificare la provenienza delle antiche mole sopravvissute fino a oggi (e usate non solo per cereali ma anche per olive, noci, mele, canapa, zolfo…) e ricostruirne il percorso. Inoltre il confronto fra documenti scritti, cave e macine può aiutare gli esperti a datare oggetti la cui attribuzione temporale è sovente difficile poiché la loro forma si è mantenuta inalterata per millenni.
Mi spiace, ma avendo iniziato uno studio sistematico delle incisioni in questione non sono d’accordo con l’interpretazione proposta.
– Anzitutto per la roccia: si tratta prevalentemente di micascisti, pietre facilmente sfaldabili e dunque inadatte all’uso in un mulino, sia perché si rompono facilmente sia perché rilasciano una gran quantità di polveri fini che si mescolerebbero al macinato; basta una visita alla “Roca Forà” di Borgone di Susa per rendersene immediatamente conto. E questo mentre a poca distanza c’è abbondanza di gneiss, che invece sarebbe perfetto per tale scopo.
– Poi per il metodo di estrazione: dovendo realizzare una macina, la logica vorrebbe che prima si staccasse il blocco e che poi lo si lavorasse comodamente a terra; sarebbe invece assurdo realizzare una macina fatta e finita a quattro metri d’altezza (come a Vaie e Mompantero) o addirittura sul soffitto di una grotta (come a Borgone) per poi staccarla successivamente sperando di non rimanerne schiacciati.
– Infine per l’abbondanza di “macine incompiute”: alla “Roca Forà” se ne possono contare almeno una ventina, a Vaie altre sei, quattro nel “Bosco del Maometto”, e poi a Chiusa, alla Rocca di Cavour… e solo alla “Roca Forà” ci sono segni di macine staccate (e abbandonate a terra, peraltro), mentre in tutte le altre località ci sono solo “opere incompiute”…
No, alla luce di queste considerazioni la teoria delle “macine” non regge. Mentre resta valida l’interpretazione religiosa, anche considerando ciò che sta attorno ai siti più interessanti. A Borgone, in particolare, le quattro “macine” a valle si trovano nell’area sacra del “Bosco del Maometto”, dove sono stati trovati resti di un villaggio dell’età del bronzo, ripari sotto roccia e vi è tuttora un’edicola romana del II sec. Nella “Roca Forà” sono presenti numerose coppelle come quelle di Susa o del Musiné (e le “macine” staccate e abbandonate potrebbero essere frutto della furia iconoclasta dei primi cristiani). A Vaie ci sono i resti di insediamenti neolitici e a Mompantero abbondano le incisioni rupestri della stessa epoca.
Occhio, dunque, non alle “macine” ma alle interpretazioni semplicistiche.